Coprogettazione

Coprogettazione

 
 
 
 

INDICE ANALITICO GENERALE

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Sul tema si veda anche la scheda: Dimensioni analitiche dei modelli di programmazione

 

Elementi dalla Tesi di Laurea Magistrale in Politiche e servizi sociali, Università di Torino, A.A. 2018-19

A cura di Giorgia Camilla

 

Cosa è.

“Si sostanzia in un accordo procedimentale di collaborazione che ha per oggetto la definizione di progetti innovativi e sperimentali di servizi, interventi e attività complesse da realizzare in termini di partenariato tra amministrazioni e privato sociale e che trova il proprio fondamento nei principi di sussidiarietà, trasparenza, partecipazione e sostegno dell’impegno privato nella funzione sociale”[1]. Un accordo che necessita di un delicato e approfondito processo delle parti.

Il vantaggio primario, nonché il fine, della coprogettazione è quello di andare a strutturare una governance multilivello che permetta una reale collaborazione tra i soggetti pubblici e privati coinvolti, andando così a superare il rapporto di committenza tipico dell’appalto e di altre forme di rapporto tradizionalmente utilizzate.

La coprogettazione, nonostante la sua presenza quasi ventennale nella nostra normativa[2], ha attirato l’attenzione di soggetti pubblici e privati soltanto negli ultimi anni, complice anche la crisi che ha sempre più ridotto l’apporto di risorse utilizzabili nell’ambito sociosanitario.

Un cambio di paradigma

L’enfasi sulla coprogettazione posta negli ultimi anni è senza dubbio il frutto di un passaggio graduale da una logica top-down, ad una bottom-up, nonché da un modello basato sul government, ad uno basato sulla governance. La logica di governance, a differenza della precedente, tenta di svincolarsi dall’idea di un attore “dominante” che guida in autonomia il processo decisorio e programmatorio.

Il concetto di governance, per quanto affascinante, risulta tuttavia ancora oggi molto nebuloso, tanto che Bifulco e Centemeri[3] la hanno definita “nozione-ombrello”, data la vastità di significati contenuti al suo interno.

Ad oggi potremmo affermare che, nella maggioranza dei casi, le logiche bottom-up vadano ad interessare il settore della progettazione, anche se può divenire un importante “banco di prova” per un futuro avvicinamento anche alla co-programmazione.

Tale approccio si differenzia sostanzialmente da quello tipico dei Piani di zona previsti dalla legge 328/2000, in quanto, in quella sede, nonostante il coinvolgimento di più attori, la presa di decisione ricadeva sostanzialmente nelle mani dell’attore pubblico.

Dato il suo marginale utilizzo nel corso degli anni, ad oggi, ci si trova in una situazione alquanto incerta dal punto di vista procedurale, tanto che anche l’A.N.A.C. [4] è intervenuta a più riprese al fine di declinarne gli aspetti formali.

Una lettura integrata che comprenda sia il parere dell’A.N.A.C., sia i contributi teorici presenti in letteratura, indica che la coprogettazione, pur differenziandosi, come già detto, da altre forme, ne conserva alcuni elementi similari, quali, ad esempio, la necessità di indire una istruttoria pubblica al fine di selezionare i partner progettuali.

Pur non potendo considerare la coprogettazione quale “panacea di tutti i mali” è indubbio che in questo periodo particolarmente critico anche dal punto di vista del reperimento delle risorse, essa possa configurarsi quale valido strumento, grazie anche alla previsione del cofinanziamento; oltre ciò è evidente che una forte spinta rispetto all’incremento del suo utilizzo sia dovuta alle più recenti introduzioni normative, in primis al Codice del Terzo Settore, e all’apertura nell’utilizzo di questo strumento anche ai Ministeri.

Le fasi.

Sulla base delle disposizioni dell’A.N.A.C diversi attori, tra cui De Ambrogio e Guidetti[5] hanno elaborato una propria proposta di suddivisione in fasi come segue:

● pubblicazione del bando;

● la redazione e successiva presentazione da parte dei soggetti interessati dei progetti;

● la valutazione degli stessi da parte dell’Ente proponente sulla base di criteri sia qualitativi, sia quantitativi;

● la selezione dei partecipanti;

● il lavoro preparatorio;

● la sottoscrizione dell’accordo.

Interessante è la ulteriore proposta di introdurre un colloquio vis à vis con i candidati prima della scelta dei partecipanti, al fine di orientare al meglio la scelta.

Inoltre, per meglio integrare le differenze e facilitare la conoscenza tra gli attori coinvolti, si ritiene che, a completamento, sarebbe opportuno introdurre una fase “intermedia” tra la selezione dei partecipanti e il reale inizio dei lavori, dedicata alla presentazione e alla conoscenza reciproche, per far sì che si possa iniziare concretamente ad operare avendo sciolto quanto meno i dubbi e le riserve più profonde rispetto agli altri partner, senza che questo vada ad escludere successivi momenti di confronto e di discussione.

Il tema delle missions degli attori.

Il soggetto pubblico, sia esso lo Stato, la Regione, la Provincia o il Comune, si fa garante del benessere dei cittadini, considerandolo quale bene comune che, pertanto, deve essere garantito a tutti i cittadini dello Stato, ispirandosi a principi di uguaglianza e di equità.

Gli enti del Terzo settore, invece, data la loro natura privata, non sono investiti di questo mandato; essi, qualsiasi sia la loro configurazione in termini giuridici, agiscono, principalmente, per adempiere alla propria specifica mission tematica.

Questa differenza di fondo porta a modalità di programmazione che debbono essere conosciute e reciprocamente integrate ad evitare un sistema che potremmo definire a “canne d’organo”[6], in cui diversi attori pongono in essere diverse attività senza che queste siano necessariamente connesse. È il tema della reale condivisione dell’obiettivo in essere.

Gli obiettivi del progetto.

Ogni Ente si avvicina alla coprogettazione con un proprio obiettivo indipendentemente dalle finalità indicate nel bando; ciò non significa, ovviamente, che la finalità generale espressa dall’ente proponente non sia condivisa, ma piuttosto che ciascun partner, a seconda della propria mission e delle proprie esperienze pregresse, si approccerà alla coprogettazione con obiettivi specifici, talvolta differenti, o solo articolati, da quelli generali. Questo aspetto, insieme alle possibili differenze di carattere strutturale, è senza dubbio comprensibile, ma deve essere reso esplicito, al fine di facilitare la rinegoziazione e l’integrazione di tutti gli obiettivi. Il che presuppone una grande capacità di riconoscimento delle esigenze e delle aspettative altrui, all’interno dei vincoli del progetto.

I soggetti privati e nuove modalità di interazione.

La coprogettazione, data la sua natura collaborativa e non competitiva, tende ad accrescere i rapporti di cooperazione tra i soggetti privati, favorendo la creazione di reti sociali spendibili anche al di fuori dello specifico progetto.

Questa tensione positiva non annulla in toto l’elemento competitivo, ma, indubbiamente, lo attenua, soprattutto nel caso in cui tra i partecipanti del privato sociale vi sia il reale interesse di mettersi in gioco e di rendere il proprio know how disponibile per tutti i soggetti coinvolti, permettendo così anche ad Enti più piccoli o “neonati” di prendere parte al processo.

Le differenze, dunque, rappresentano il valore aggiunto della coprogettazione, ma necessitano di essere riconosciute, comprese e, in ultimo, integrate positivamente tra loro.

Il ruolo dell’Ente capofila.

Nonostante il tendenziale distacco dalla logica competitiva e di government tipica dell’appalto, anche all’interno della coprogettazione si mantiene una necessaria attività di valutazione e di scelta dei candidati da parte dell’Ente capofila. Questo elemento di “selezione” fa sì che, nonostante il cambio di paradigma, si mantenga in capo all’Ente capofila un ruolo importante di regia, non solo nella fase di scelta dei partecipanti, ma, altresì, durante la fase di stesura ed implementazione del progetto. Si tratta di un ruolo estremamente delicato, ma indubbiamente necessario, dato che, se correttamente espletato, diviene garante dell’eguale partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, della mediazione tra istanze e obiettivi diversi, nonché del buon andamento del progetto.

La capacità dell’Ente capofila di assumere questo ruolo e di gestirlo con autorevolezza (direttivo e non autoritario) è uno degli elementi che maggiormente contribuiscono all’evoluzione positiva del progetto, permettendo così di mediare tra le differenze di tutti i soggetti coinvolti.

I “costi” della coprogettazione.

Tutto il processo richiede un notevole sforzo da parte dei partecipanti, con costi che, molto spesso, non sono valutati e conteggiati. Al contrario, quasi sempre la coprogettazione richiede ai privati partecipanti una quota di co-finanziamento: un aspetto reso necessario dalla natura stessa della coprogettazione che presuppone una forma di parità tra i partecipanti, che non sarebbe possibile conservando le logiche tipiche dell’appalto.

Infatti, nell’appalto il rapporto pubblico-privato risulta di “subalternità”, con il potere decisionale totalmente sbilanciato a favore del soggetto pubblico che: espone le proprie richieste (bando); seleziona il soggetto che maggiormente si confà alle sue esigenze (gara competitiva); corrisponde l’equivalente economico per le attività svolte.

Nella coprogettazione la logica di fondo cambia totalmente: il Terzo settore diviene a tutti gli effetti un partner e non più fornitore. Conseguentemente, non riceve un pagamento per le attività svolte, ma soltanto un rimborso per i costi vivi sostenuti e gli si chiede di compartecipare alla spesa (cofinanziamento).

In una situazione in cui l’attività svolta dagli enti del Terzo settore ha sempre meno una natura volontaristica, ma fortemente professionalizzata, è facile comprendere come la coprogettazione aumenti esponenzialmente i costi per gli enti del privato sociale che devono investire loro risorse economiche, organizzative e professionali (spesso proporzionalmente rilevanti per gli enti più piccoli).

In particolare, i costi di coprogettazione hanno anche una natura organizzativa e di back office in quanto si impone a tutti i partecipanti un nuovo modo di lavorare che necessita, ovviamente, un cambio di approccio nell’operatività quotidiana e, molto spesso, anche una vera e propria riorganizzazione dell’Ente, soprattutto di quelli del privato sociale. Coprogettare, dunque, richiede impegno, un cambio di approccio radicale (perché “nell’appalto non si litiga, nella coprogettazione invece sì, anche molto”) perché all’interno entrano tutte le diverse istanze ed esigenze, le quali necessitano di essere accolte e mediate rispetto agli obiettivi generali del progetto.

Dunque, al fine di garantire l’erogazione di servizi di qualità, gestiti da personale qualificato, gli enti del Terzo settore debbono farsi carico di spese non indifferenti.

Un utilizzo strumentale da parte del pubblico?

Gli attori del privato sociale, infatti, non soltanto compartecipano in termini economici, ma anche e soprattutto in termini di know how, expertise, conoscenza del territorio, etc., elementi che, pur non essendo monetizzati, portano alla progettazione un notevole potenziale ed una forte carica innovativa. Il rischio è che una buona parte della qualità di un progetto sia “acquistata” dal pubblico a “prezzi di saldo” a cui i privati sono obbligati ad aderire sia per una carica ideale, ma anche per sopravvivere.

Note

[1] Delibera A.N.A.C. n. 32 del 20/01/2016, Determinazione linee guida per l’affidamento dei servizi a enti del Terzo settore e alle cooperative sociali. https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6421
[2] Formalmente il termine è stato introdotto dal d.p.c.m 30 marzo 2001 “Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell'art. 5 della legge 8 novembre 2000”
[3] Bifulco L., Centemeri L., La partecipazione nei piani sociali di zona: geometrie variabili di governance locale, op.cit. p. 221
[4] Autorità Nazionale Anticorruzione: la sua funzione è la prevenzione della corruzione nell'ambito della pubblica amministrazione italiana, nelle società partecipate e controllate dalla pubblica amministrazione.
[5] De Ambrogio U., Guidetti C., La coprogettazione. La partnership tra pubblico e Terzo settore, Carocci Faber, Roma, 2016
[6] Merlo G., La programmazione sociale. Principi, metodi e strumenti, Carocci Faber, Roma, 2014, p. 62

Approfondimenti:

Brunod M., Moschetti M., Pizzardi E., La coprogettazione sociale. Esperienze, metodologie e riferimenti normativi, Erikson, Trento, 2016

De Ambrogio U., Guidetti C., La coprogettazione. La partnership tra pubblico e Terzo settore, Carocci Faber, Roma, 2016

Donato A., Mento F., Co-progettazione, uno spiraglio dal Tar della Campania, in Vita, 12 luglio 2019

Lombardi A., Coprogrammazione e coprogettazione, in equilibrio tra autorità e libertà, Welforum, 2019

Marocchi G., Coprogettazione: ANAC e Consiglio di Stato rimescolano le carte, Secondo welfare, 2018

Marocchi G., Enti pubblici e Terzo settore: la riforma rilancia il partenariato, Welforum, 2017

Merlo, G., La programmazione sociale. Principi, metodi e strumenti, Carocci Faber, Roma, 2014

 

Fonte: https://sites.google.com/site/programmazionesociale/home/box-di-approfondimento/coprogettazione?authuser=0

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